Le “lettere alla sposa” di Pestalozzi

Le cosiddette lettere alla sposa riempiono i primi due volumi dell’edizione critica integrale delle lettere di Pestalozzi: PSB 1 e 2. È stata pubblicata una piacevole selezione di lettere: “Meine getreue Schulthess. Aus dem heimlichen Briefwechsel zwischen Anna Schulthess und Heinrich Pestalozzi“ (Ed. Dagmar Schifferli e Brigitta Klaas Meilier. Zurigo: Werd 1996. 224 p.) (“La mia fedele Schulthess. Dallo scambio segreto di lettere fra Anna Schulthess e Heinrich Pestalozzi”). Le lettere alla sposa di Pestalozzi vengono presentate come una testimonianza rara per la Svizzera dell’epoca della sensibilità della metà del XVIII secolo.

Anna Pestalozzi-Schulthess

"Dipinto ad olio di F.G.A. Schöner, 1804"

Johann Heinrich Tschiffeli (1716-1780)

Johann Rudolf Tschiffeli (1716-1780) fu tra i fondatori della Società Elvetica a Bad Schinznach e della Società Economica a Berna. Aveva ampliato una fattoria a Kirchberg, nei pressi di Burgdof, trasformandola in un’azienda agricola padronale, e continuava ad essere stimato e considerato un grande conoscitore dell’agricoltura. Pestalozzi fu assunto da Tschiffeli con l’intervento di Lavater.

Zunfthaus zu Gerwe

Il Zunfthaus zur Gerwe, ovvero l’edificio della corporazione dei conciatori, Limmatquai 20 (oggi n. 80) a Zurigo esiste tuttora e ospita un’attività gastronomica.

Johann Jakob Bodmer e Johann Heinrich Füßli

"Dipinto ad olio di Johann Heinrich Füßli, 1781, (Kunsthaus Zürich)"

"Zurigo, Oberer Hirschengraben"

Schizzo a china risalente alla metà del XVIII secolo. La casa dove nacque Pestalozzi, nel gruppo di case a destra, non si distingue chiaramente dalle altre. Oggi il gruppo di case non esiste più: è stato abbattuto per ampliare la Kunsthaus.

Infanzia e gioventù a Zurigo

1746-1768

Johann Heinrich Pestalozzi nacque il 12 gennaio 1746 a casa dei suoi genitori nel quartiere Oberen Hirschengraben a Zurigo. La famiglia aveva la cittadinanza zurighese da quando l’avo Giovanni Antonio Pestalozzi a metà del XVI secolo era emigrato da Chiavenna a Zurigo. All’inizio era una famiglia di commercianti che non occupava nessuna carica pubblica. Solo il nonno di Pestalozzi, Andreas Pestalozzi, aveva studiato teologia ed era diventato parroco di Höngg, vicino a Zurigo, carica che poteva essere ricoperta solamente da cittadini.

I primi anni di vita di Pestalozzi furono caratterizzati da grandi “turbolenze” familiari: in poco più di otto anni di matrimonio dei genitori nacquero sette figli, quattro dei quali morirono in tenera età, e Pestalozzi aveva solo cinque anni quando il padre Johann Baptist Pestalozzi (1718-1751) morì. La situazione economica per una famiglia della città di Zurigo era veramente opprimente già quando il padre era ancora in vita, perché quest’ultimo, nonostante fosse il cosiddetto “Chirurgus”, poteva a malapena sfamare la propria famiglia, e dopo la sua morte la situazione peggiorò ulteriormente. La madre con i tre figli sopravvissuti decise di non trasferirsi presso i parenti più agiati sulla riva sinistra del Lago di Zurigo, che aiutavano materialmente la famiglia disagiata, ma che loro stessi non avevano la cittadinanza di Zurigo. Al contrario la famiglia Pestalozzi, ancora privilegiata grazie alla cittadinanza, rimase ad abitare a Zurigo, dove le possibilità di formazione e l’istruzione offerta ai bambini erano migliori. Ma le condizioni miserevoli, unitamente alle esperienze traumatiche vissute dalla famiglia, portarono la madre e la fedele ancella di casa, Barbara Schmid, all’apprensione e all’ansia. Così Pestalozzi da bambino visse la noia e la solitudine ed essendo tenuto sotto una campana di vetro le sue esperienze furono limitatissime. Nel 1804 descrive la sua situazione da bambino in una lettera a Hans Konrad Escher von der Linth:

"Gli anni della mia gioventù mi negarono tutto ciò attraverso il quale l’uomo mette le basi per l’utilità civica. Ero sorvegliato come una pecora che non può uscire dalla stalla. Non potevo scendere in strada con gli altri ragazzi della mia età, non potevo fare nessuno dei giochi e degli esercizi che facevano loro, non potevo condividere i loro segreti. Naturalmente in mezzo a loro ero impacciato e venivo deriso. Già a nove o dieci anni mi soprannominarono “Heiri Wunderli von Thorlicken”." (PSW 29, p. 104).

E a proposito di questo periodo spiega inoltre:

"Mi mancavano del tutto le attività quotidiane e il contesto attraverso i quali la maggior parte dei bambini, sia a casa che all’esterno, viene a contatto con migliaia di cose che permettono loro di sviluppare le capacità in modo quasi inconsapevole e involontario, senza che vi si possano preparare e che siano pronti. Siccome nella mia cameretta a dire la verità non c’era proprio niente per tenermi occupato in modo ragionevole e istruttivo, e io abitualmente con la mia vivacità rovinavo tutto ciò che prendevo in mano che non fosse per imparare qualcosa,  si pensava che il meglio che si potesse fare per me in quel caso fosse che io prendessi in mano il meno possibile, affinché io rovinassi il meno possibile. ‘Non puoi startene lì seduto tranquillamente e tenere ferme le mani?’ era ciò che mi sentivo dire in ogni momento. Era contro la mia natura, non potevo star seduto tranquillo, non potevo tenere a bada le mie mani, e a dire la verità, più dovevo farlo, meno mi riusciva. Quando non trovavo più niente, prendevo una corda e la rigiravo finché non sembrava nemmeno più una corda. Ogni foglia, ogni fiore che capitavano in mano mia facevano la stessa fine. Immaginati che si interrompa violentemente il corso di un ingranaggio che gira a pieno regime e gli si impedisce di girare nella direzione voluta, così ti puoi immaginare l’influsso della mia condizione sulla direzione delle mie forze tendenti allo sviluppo e all’attività. Più queste venivano frenate, più sembravano ingarbugliate e violente, in qualsiasi direzione esse volessero o potessero girarsi"

Nella sua città natale, a Zurigo, Pestalozzi frequentò tutte le scuole che allora potevano essere frequentate gratuitamente da un giovane e intelligente cittadino di Zurigo, e il suo percorso di formazione lo portò dalla Schola Carolina di Großmünster allo studio presso il Collegium Carolinum, una scuola universitaria, i cui professori gli trasmisero lo spirito illuministico svizzero e zurighese. All’inizio Pestalozzi pensava di farsi prete come il nonno, ma poi iniziò a studiare diritto. Il suo professore più conosciuto fu Johann Jakob Bodmer (1698-1783), famoso anche oltre i confini cittadini e nazionali, il quale si era circondato di un gruppo di studenti particolarmente dotati.

Si incontravano una sera a settimana nella sede della corporazione dei conciatori, si facevano chiamare “Helvetische Gesellschaft zur Gerwe“ (“Società Elvetica”) oppure semplicemente “Patrioten” (“Patrioti”) e pubblicavano un giornale, l’“Erinnerer” (“Colui che ricorda”). Nel circolo dei Patrioti si discuteva dei pensieri dei filosofi antichi e moderni: Platone, Tito, Livio, Sallustio, Cicerone, Komensky, Machiavelli, Leibniz, Montesquieu, Sulzer, Hume, Shaftesbury, Lessing e soprattutto Jean-Jacques Rousseau. Presso la Società Elvetica i giovani imparavano a conoscere alti ideali di vita e facevano progetti sociali lungimiranti, che poi mettevano a confronto con la realtà della città e dei suoi dintorni: a Zurigo, infatti, il potere era nelle mani di poche famiglie, e chi criticava o si metteva contro i potenti o anche reclamava semplicemente i propri diritti rischiava la persecuzione o l’esilio. I contadini dei villaggi vicini dovevano vendere i loro prodotti in città a prezzi prestabiliti, e dovevano  poi coprire gran parte dei loro bisogni con acquisti in città. Il commercio vero e proprio o le attività commerciali su ampia scala erano permessi solo ai cittadini privilegiati della città, che erano anche gli unici a poter rivestire le cariche pubbliche religiose o statali: chiesa, giustizia e amministrazione. La libertà di espressione era limitata da una rigida censura. Nelle loro conversazioni settimanali i “Patrioti“ si battevano contro il regime autoritario della classe dominante, che a volte reagiva anche in modo veemente. Ma gli studenti non si lasciarono spaventare e gli “Alti Signori” non osarono mettersi contro Bodmer, conosciuto anche fuori dai confini cittadini. Senza dubbio Pestalozzi nella sua città natale non solo era malvisto per il suo entusiasmo per gli usi e costumi purificati nella società e nello Stato e la sua apertura ad idee di riforma statale e di un dominio più equo, di uguaglianza, divisione dei poteri e sfuttamento del paesaggio e dei suoi abitanti, ma aveva anche perso prima del tempo e per sempre le sue possibilità per un posto pubblico a cui avrebbe avuto diritto in qualità di cittadino.

I primi scritti di Pestalozzi, “Agis“ (“Agide”) e “Wünsche“ (“Desideri”) , risalgono a quegli anni.

“Agis“ (“Agide”) è l’opera più antica di Pestalozzi che si è conservata fino ai giorni nostri. Venne pubblicata nel 1765 nel “Lindauer Journal“, probabilmente per sfuggire alla censura zurighese. La politica di riforma del re di Sparta Agide fallì a causa dell’opposizione dell’aristocrazia dominante, e Pestalozzi stabilisce abilmente con una sottile ironia un parallelismo con Zurigo, dicendo che qui però non si tratta di “satira sulle nostre condizioni”.

Anche i “Wünsche“ (“Desideri”), una serie di appunti aforistici tratti dall’Erinnerer, del 1766, riflettono la posizione critica di Pestalozzi. Lo scritto inizia come segue:

"Un giovane uomo che nella sua patria ha così poca influenza, come me, non può criticare né voler migliorare; perché questo è fuori dalla sua portata. Me lo si dice quasi tutti i giorni; ma posso ancora avere desideri? Sì, chi vorrebbe proibirmi di combattere il male? Voglio poter desiderare e dare alla gente i miei desideri affinché li legga; e a chi deride me e i miei desideri auguro buona guarigione!” (PSW 1, p. 25).

Più di tutti gli altri, a impressionare gli studenti zurighesi fu Jean-Jacques Rousseau. Nel 1762 furono pubblicati “Contratto sociale” e ”Emilio”, ed entrambe le opere fecero nascere in loro l’ideale di una vita naturale, virtuosa e libera. La vita di un uomo di città appariva loro distorta, depravata e artificiale; al contrario il contadino viveva (almeno nella loro immaginazione) in modo semplice, energico e a stretto contatto con la natura. Questi pensieri toccarono nel profondo Pestalozzi e si unirono al suo forte desiderio di aiutare i poveri e le persone di campagna prive di diritti. A Höngg, la parrocchia di suo nonno, dove si recava spesso da bambino, aveva potuto vedere da molto vicino, dalla prospettiva di un bambino di città privilegiato, la situazione opprimente della popolazione di città analfabeta e senza diritti. Così, a 21 anni interruppe i suoi studi e decise di diventare egli stesso agricoltore. Non agricoltore nel senso più comune del termine, ma piuttosto come signore di una proprietà che avrebbe permesso, con il suo raccolto, il sostentamento di un cittadino colto e interessato sotto più punti di vista. Tuttavia, per intraprendere questa attività gli mancavano tutti i presupposti, a partire dalle conoscenze dell’agricoltura e della coltivazione. Così, nell’estate del 1767 iniziò presso Johann Rudolf Tschiffeli Kirchberg (Berna) un apprendistato di agricoltura, per imparare le tecniche moderne di frutticoltura e coltivazione.

A seguito dell’Illuminismo e del progresso delle scienze naturali, l’agricoltura si trovava a un punto di svolta che ne avrebbe determinato il futuro: distacco dalla tradizionale rotazione triennale a favore di uno sfruttamento più intensivo del terreno grazie a una concimazione mirata e rinunciando all’anno di maggese. Tschiffeli era una delle forze trainanti di questo sviluppo, e Pestalozzi voleva seguire le  sue impronte.

La decisione di Pestalozzi fu favorita dalla riflessione filosofica positiva sull’agricoltura: se il mercantilismo in quanto economia dell’assolutismo francese considerava le riserve di metalli preziosi la base per il benessere socioeconomico, questa teoria fu contraddetta dai fisiocrati che si ispiravano a Rousseau. Secondo questi ultimi, il benessere di una società derivava dai frutti naturali della terra, e quindi da un’agricoltura sana, e questo era il motivo per cui doveva il primo compito della politica socioeconomica doveva essere una modernizzazione dell’agricoltura.
La fisiocrazia, inoltre, esigeva l’abolizione dell’economia controllata a livello statale (mancanza di libertà di commercio e della libertà professionale; controlli della produzione tramite le corporazioni) e della tendenza all’economia privata, per arrivare, tramite il “gioco libero delle forze” a un equilibrio naturale in tutti i settori dell’economia. La soddisfazione ottimale dei bisogni economici della popolazione doveva essere il risultato di una concorrenza dell’economia di mercato e di un libero scambio internazionale.

Quando Pestalozzi, a soli 21 anni, si preoccupò di trovare un’attività lavorativa pratica, che potesse garantirgli un futuro anche dal punto di vista economico, oltre all’entusiasmo che andava un po’ di moda per la vita dei contadini e oltre al suo forte desiderio di aiutare la gente di campagna dando il buon esempio, aveva un altro valido motivo: si era innamorato, voleva sposarsi e poter mantenere la sua futura famiglia in modo adeguato al proprio rango. L’amore di Pestalozzi per Anna Schulthess, che aveva già 29 anni, era nato nel 1767 alla morte del loro amico comune Johann Kaspar Bluntschli, chiamato Menalk, che era stato colpito a soli 23 anni da una malattia polmonare.

Menalk, dando il buon esempio, aveva incoraggiato gli amici del Circolo dei Patrioti al lavoro fine a se stesso. Di fronte alla sua morte prematura, Bluntschli vedeva nell’amico, di due anni più giovane, una sorta di incarnazione dei suoi stessi alti ideali, cosa che convinse Pestalozzi a impegnarsi incondizionatamente per il miglioramento delle condizioni sociali e politiche, anche a costo di compromettere la propria vita. La morte dell’amico comune toccò entrambi nel profondo, e Pestalozzi nel dolore si sentì vicino ad Anna Schulthess. Improvvisamente il cordoglio provato da entrambi fece nascere in Pestalozzi la passione dell’amore, che minacciava di divorarlo con la violenza di un vulcano. In una delle prime lettere alla sua futura moglie scrive:

Mademoiselle! Invano cerco di ritrovare un po’ di pace. Lo vedo, ho perso la speranza. Pagherò per la mia sconsideratezza con dispiaceri eterni. Ho osato osservarvi, parlarvi, scrivervi, pensare quali potessero essere i vostri sentimenti, sentirli e parlarvene. Avrei dovuto conoscere le debolezze del mio cuore e soppesare tali pericoli, che fanno perdere ogni speranza. Cosa devo fare ora; devo tacere e ingannare il mio cuore con pene sofferte in silenzio e non parlare e non aspettarmi nessuna speranza,  nessun sollievo alla mia miseria? No! non voglio tacere, per me sarà come liberarsi da un peso se saprò che non ho speranza. Ma sperare cosa? No! non posso sperare nulla! Avete conosciuto Menalk, e l’uomo che potreste amare deve essere come lui. Ma io! Chi sono io? Che differenza! Come sento già il colpo mortale delle parole crudeli che dicono che non sono come Menalk, che non [sono] degno di voi! Lo so; mi merito la risposta che riceverò; non mi aspetto nient’altro. […] Non combino nulla per tutto il giorno, girovago senza pensieri e sospiro in continuazione, cerco una distrazione ma non la trovo, prendo in mano la vostra lettera, la leggo, la rileggo, sogno, spero, ma subito mi sento senza speranza, incanto una madre affettuosamente preoccupata per me con i racconti delle cause di una malattia che non conosco, sfuggo alla compagnia dei miei amici, sfuggo all’allegria del giorno, mi chiudo nella mia camera solitaria e buia, mi butto sul letto, non riesco a chiudere occhio, non trovo pace; mi autocompatisco. Penso a voi tutto il giorno, a ogni vostra parola, a ogni luogo dove vi ho vista. Dentro di me ho perso tutte le forze e il conforto e dipendo in tutto e per tutto da voi. O, come devo sembrare piccolo e spregevole ai vostri occhi quando cerco di ricevere le vostre attenzioni. O, se non aveste mai saputo della mia sensibilità! O, se non avesse pensato in che pericolo potrebbe essere la vostra amicizia per il mio cuore sensibile, molto sensibile! Avete spento i vostri sentimenti per Menalk nel mio grembo; io provo gli stessi sentimenti per voi; avete sentito i miei e vi avete ritrovato i vostri! Cosa ho fatto? Cosa avete fatto! La mia stima per voi ora è la passione violenta dell’amore. Ogni giorno, ogni ora, ogni attimo aumenta sempre più. Aver perso Menalk non era abbastanza per soffocarmi: devo soccombere sotto il peso di un dispiacere doppio e perdere due volte la speranza. [...]

Tre volte vi ho già scritto e tre volte ho stracciato la lettera; ma questa non la voglio più stracciare. Mi sento in dovere di parlare, perché non potrei tacere se non mettendo in pericolo la mia salute e il mio stato morale. Conoscete il mio cuore; sapete quanto è lontano da ogni finzione. Conoscete la mia timidezza; sicuramente sapete quanta forza di volontà mi ci è voluta per decidermi a questo passo. Più di così non voglio scusarmi.
Buon Dio, aiutami ad attendere la risposta importante con tranquillità. E voi, cara Schulthess! Affrettatevi a farmi ritrovare me stesso. O ore, momenti prima della decisione! Il mio cuore batte, come posso sopportarlo? La mia felicità, la mia pace, il futuro, io, tutto di me dipende da questa risposta.

Affrettatevi, vi prego in ginocchio di rispondere al Vostro P.!“ (PSB 1, pp. 3-5).

 

Anna e Heinrich erano una coppia molto eterogenea: lei una bella ragazza di città, abituata ad avere sempre denaro a sufficienza, intelligente e colta, devota e sensibile, da una parte piuttosto fredda e che mantiene le distanza, d’altra parte, come Pestalozzi, tendente alla rabbia. Lui invece, fisicamente insignificante, sotto certi punti di vista goffo, sotto altri invece pieno di talento, pieno di programmi ambiziosi per migliorare il mondo, povero e figlio di una vedova la cui famiglia non aveva nessuna importanza in città. Anche dal punto di vista di Anna tra lei e Pestalozzi c’era una chiara differenza di condizioni, motivo per cui, al momento dei primi contatti fra di loro, arrivò a tenere nascosta la loro passione. Quando i genitori Schulthess vennero a sapere delle intenzioni di Pestalozzi, lo cacciarono da casa e gli chiusero la porta per sempre.

Così, a entrambi non rimase altro che incontrarsi di nascosto e scriversi tutti i giorni o tutte le settimane. Del periodo fra la primavera del 1767 e il loro matrimonio nel settembre del 1769 rimangono ancora oggi 468 lettere, che riempiono più di 650 pagine di libro . L’amore passionale di Pestalozzi per Anna, la sua riluttanza iniziale e la sua graduale accondiscendenza, piuttosto fredda, e in seguito lo scoppio della loro passione amorosa, lo sbocciare di un affetto reciproco pieno di poesia, buonumore e tenerezze, e ancora la loro lotta comune per la verità e la virtù e per il loro amore contro la volontà dei ricchi coniugi Schulthess con tutte le umiliazioni e i ferimenti: tutto questo non lascia indifferente nessuno tra quelli che oggi legge queste lettere.

Rivelano chiaramente la ricca vita interiore di Pestalozzi, la sua nobiltà d’animo, le sue preoccupazioni per la propria miseria, ma anche la sua consapevolezza di essere un punto di riferimento importante per il popolo. Le riflessioni personali contenute in queste lettere sono testimonianze autobiografiche di raro valore. In una lettera dettagliata del Pestalozzi ventunenne, nella quale si descrive come senza riguardi, e nella quale mette in chiaro i suoi valori, senza compromessi, e delinea la sua visione della vita, sono riconoscibili i tratti fondamentali della sua vita futura: vuole sfruttare la terra natia senza prendere in considerazione moglie e figli, sa che il suo entusiasmo e la sua sbadataggine lo accompagneranno in ogni sua azione, sfrutta la parentela benestante di Anna, vuole mettere in pratica le idee di educazione di Rousseau ed evitare a tutti i costi che i suoi figli diventino gente pigra di città, e usa un tono depressivo e malinconico per descrivere le sue debolezze, la sua malattia e la sua morte imminente (PSB 1, pp. 25-35).

Anche in lettere più recenti è sempre più entusiasta di una futura vita a due in campagna, e se le sue immaginazioni idilliche tanto agognate dovessero rivelarsi soltanto illusioni, rispecchiano comunque le sue intenzioni sociali che stanno alla base della sua scelta professionale.

 

 

"Amica, mi fa piacere che crediate veramente che la città non [sia] il luogo dove intendiamo crescere i nostri figli. Decisamente la mia casupola deve essere lontana da questa confluenza di vizi e miseria. In questa capanna solitaria, tuttavia, la terra natia deve tenermi occupato più del trambusto che c’è in città. Quando mi trovo, solo, in campagna, e vedo un figlio di un compaesano che promette di avere una grande anima ma non ha il pane quotidiano, lo prendo per mano e lo formo come cittadino, lavora e mangia pane e latte ed è felice. E quando un giovane fa una nobile azione e in cambio riceve solamente l’odio della sua spaventosa famiglia, da me troverà pane finché ne ho! Sì, con voglia, amata, bevo acqua e gli cedo il latte, che mi piace, al nobile d’animo, poiché veda quanto lo stimo. Amata, quando mi vedete bere acqua vi piacerò. Veramente, amata, vogliamo essere al servizio dei nostri bisogni, dei nostri concittadini, limitando tutto quanto permesso dalla buona educazione e dal buon gusto. Amata, quanto potrei parlare qui del piacere di questi giorni e della felicità dei nostri futuri figli, delle piacevoli sorprese dei miei amici. Ma taccio e vi dico ancora solo una cosa: è possibile che fra qualche anno io sia richiamato qui dalle circostanze. Farò sempre quello che deve fare un onesto cittadino della mia patria  e, amica, farò in modo che il compimento di qualsiasi dovere vi risulti piacevole.” (PSB 1, pp. 60-61).

Anna ha dubitato, soppesato, temporeggiato per settimane e mesi, finché è stata sicura del suo amore. La lettera decisiva è la prima che ha datato, 19 agosto 1767.

Poco dopo, nel settembre 1767, Pestalozzi lasciò Zurigo per iniziare il suo apprendistato in agricoltura. Le sue venivano consegnate in segreto ad Anna da amici e fratelli. Diventa sempre più chiaro che considera la sua formazione come una preparazione a un’attività per il bene del popolo e “che lo scopo finale delle sue attività è la felicità di una parte del suo prossimo” (PSB 1, p. 241). Ma dopo soli nove mesi, interrotti soltanto da una pausa invernale di tre mesi, Pestalozzi ritenne la sua formazione già terminata, interruppe il suo soggiorno presso Tschiffeli, tornò a Zurigo e cominciò il suo cammino come imprenditore nel campo dell’agricoltura.