Yverdon

1804-1825

Nella seconda metà del 1804 Pestalozzi si dedicò con altri tre insegnanti al rinnovamento del suo nuovo istituto nel castello di Yverdon. Nel frattempo, a Münchenbuchsee l’atmosfera fra i docenti lì rimasti e gli allievi si aggravava sempre più, poiché Fellenberg prendeva le decisioni in modo autoritario e non permetteva che lo si contraddicesse. Perciò si trasferirono anch’essi a Yverdon, dopo appena sei mesi circa.

L’istituto di Pestalozzi a Yverdon divenne subito famoso e il suo impulso pedagogico si irradiò soprattutto in Germania e da lì in particolare verso la Prussia, ma anche in Francia, Spagna, Italia, Inghilterra, Russia e America. La direzione dell’istituto era nelle mani di una commissione formata da Pestalozzi più quattro collaboratori. Per ogni materia scelse un ispettore e si preoccupò dell’aspetto finanziario.

Il vero periodo d’oro dell’istituto, pur se breve, fu quello compreso tra il 1807 e il 1809. La scuola contava allora 165 allievi, 31 insegnanti e assistenti, 32 seminaristi e 10 membri della famiglia Pestalozzi con i loro domestici, in tutto circa 250 persone. In più, Pestalozzi possedeva nel comune di Yverdon anche il suo istituto per ragazze proprio vicino al castello, perché bambini e bambine venivano istruiti separatamente. Tuttavia, sul fronte economico era sempre battaglia aperta, perché Pestalozzi si accontentava di un importo minimo per la pensione, e accoglieva inoltre gratuitamente molti bambini se i genitori non potevano permettersi di pagare le spese; ecco perché quasi un terzo degli abitanti dell’istituto non pagava niente. I docenti lavoravano praticamente senza stipendio e ricevevano soltanto vitto e alloggio. Non c’erano bilanci, piani o conti, e la tipografia annessa era fortemente indebitata.

Le lezioni si svolgevano perlopiù sottoforma di lavori e lezioni di gruppo. Agli allievi che avevano capito una cosa veniva subito chiesto di insegnare quello che avevano imparato ai loro compagni. Le ore di lezione erano circa tre volte superiori a quelle odierne nelle scuole svizzere, ovvero circa 60 ore piene a settimana. Venivano insegnate matematica (aritmetica e algebra), geometria, disegno, geografia, storia, tedesco e francese, religione, scienze (chimica, fisica, zoologia e botanica), latino, ginnastica, canto, contabilità e corrispondenza. Il piano orario non era però sempre uguale, perché l’istituto di Pestalozzi era concepito come una scuola sperimentale. A un dato orario, tutti i giorni, i bambini avevano una o più ore per lo studio individuale.

Pestalozzi voleva che ci fosse una collaborazione intensa con i genitori. A questi ultimi veniva chiesto di esprimere liberamente le loro critiche. Ogni giorno arrivavano a Yverdon dei visitatori, e tutti venivano accolti nelle classi. Lo stesso Pestalozzi accoglieva personalmente tutti i visitatori e si emozionava nel vedere il grande interesse per il lavoro pedagogico dell’istituto. Il maestro di classe doveva regolarmente informare per iscritto i genitori del comportamento e dei progressi nell’apprendimento di ogni allievo. Valutazioni di rendimento comparative, ovvero voti e diplomi, come cominciavano ad esserci nelle scuole del tempo e come oggi sono usuali, non ce n’erano (intenzionalmente). Pestalozzi non voleva che i bambini venissero confrontati fra di loro; i risultati di un bambino dovevano essere calcolati solamente in base alle sue forze e al suo talento.

Le condizioni degli allievi erano le più disparate. Da Pestalozzi, a Yverdon, venivano portati ragazzi normali, bravi ma anche quelli con qualche difficoltà e ragazzi con turbe comportamentali e difficilmente trattabili. L’età minima era 7 anni. I ragazzi solitamente venivano accettati solo fino agli 11 anni. Se non volevano rimanere come seminaristi in istituto, potevano rimanere fino ai 15 anni.

Nella vita dell’istituto presero sempre più importanza le gite con gli alunni. Non c’erano vacanze, ma le gite spesso duravano settimane e portavano gli allievi nelle alpi e nei paesi confinanti. Queste gite avevano come obiettivo l’esperienza diretta ed erano parte integrante delle lezioni di geografia e di scienze naturali. Dapprima venivano lette descrizioni dei luoghi e del viaggio, venivano studiate cartine e veniva preparato il materiale di viaggio. Anche durante le lezioni normali spesso si usciva all’aperto per osservare le piante, il paesaggio, gli animali o le pietre, per descriverli e disegnarli. Secondo Pestalozzi, anche i lavori manuali o di giardinaggio avevano un grande valore per l’educazione. In più, gli allievi imparavano i primi rudimenti con sega, martello e pialla, lavoravano al tornio, aiutavano nei lavori domestici, in tipografia o nella legatoria dell’istituto, a volte anche nelle officine di falegnami, meccanici, orologiai e tornitori di Yverdon, allevavano conigli e coltivavano il loro orto. Lo sport e i giochi erano all’ordine del giorno a Yverdon: si faceva regolarmente il bagno nel lago vicino, e tutti imparavano a nuotare. In inverno venivano costruiti castelli di neve, e quando il lago ghiacciava pattinavano.

Nell’istituto si voleva vivere come in una grande famiglia, nel modo più naturale possibile. La maggior parte dei giovani assistenti (seminaristi di 16-20 anni) e insegnanti avevano una libertà completa, e così gli allievi. Non c’erano disposizioni o divieti precisi, ma ad ogni avvenimento l’educatore doveva prendere una decisione adatta al caso individuale. D’estate i ragazzi giravano senza scarpe e non portavano, contro l’abitudine di allora, il cappello, perché gli abiti non dovevano essere d’intralcio ai movimenti naturali. Eccessiva ambizione, scoraggiamento, rabbia, diffidenza e pene corporali come metodo di educazione venivano malvisti. I docenti, per raggiungere gli obiettivi prefissati, potevano usare solamente la loro autorità personale, il loro carisma e la loro capacità di convincimento. Vivevano sempre con i bambini, mangiavano e dormivano nelle stesse stanze.

Pestalozzi stesso prendeva la posizione di padre e guida spirituale e si lasciava chiamare “padre Pestalozzi“. Si dedicava sempre più al suo lavoro di scrittore, controllava il lavoro pedagogico degli insegnanti, ogni settimana si faceva raccontare la situazione di ogni singolo alunno, riceveva i numerosi visitatori e giorno dopo giorno rivolgeva parole incoraggianti a tutta la comunità. Nei giorni di digiuno e di festa teneva i suoi grandi discorsi, che costituiscono una parte non indifferente delle opere scritte di quegli anni.

L’altruismo di Pestalozzi e l’immagine impressionante che dava ai visitatori sono attestati in molti modi dai contemporanei e dai collaboratori stretti. Ma dove c’è luce c’è anche ombra. La sua personalità era contraddittoria, spesso lacerata. Non riusciva a dirigere la casa con tranquillità e gli mancava una visione d’insieme. Più di 15 dei 20 anni durante i quali visse a Yverdon furono offuscati da una serie di accesi diverbi fra gli insegnanti. Vennero resi pubblici e anche portati davanti a un tribunale, e non solo rovinarono la grande considerazione di cui godeva l’istituto, ma lo mandarono in fallimento. Uno dei motivi era chiaramente la mancanza di qualità organizzative e dirigenziali di Pestalozzi. Ad esempio, Karl Justus Blochmann, insegnante a Yverdon dal 1809 al 1816 scriveva:

 

"Così spesso, quando osservo l’Indimenticabile, quando gli ero ancora vicino, mi sembrava come un bambino cresciuto con tutta la bellezza della natura infantile, ma anche con le sue debolezze e imperfezioni. La purezza e innocenza, la credenza e l’amore, la dolcezza e la dedizione del bambino abbellirono e nobilitarono la sua anima fino alla vecchiaia, ma la tranquillità e accortezza, la prudenza e la cautela, la chiara padronanza di cose e persone, che ornano un uomo, gli mancavano del tutto. […] Nonostante i suoi grandi ideali rivolti all’umanità nel suo complesso non aveva le capacità e il talento nemmeno per dirigere una piccola scuola di paese."

Il diverbio permanente si trasformò nella questione di chi avrebbe dovuto assumere la direzione dell’istituto di Pestalozzi e di chi sarebbe poi stato il suo successore, e su questa questione litigarono in particolare due dei suoi collaboratori: Joseph Schmid (1785-1851) e Johannes Niederer (1779-1843).

Schmid, originario del Bundesland austriaco del Vorarlberg, proveniva da una famiglia contadina e già quando era allievo di Pestalozzi a Burgdorf dimostrò un grande talento per la matematica, motivo per cui fu promosso a insegnante di matematica. Il suo successo straordinario nell’insegnamento della matematica portò una buona reputazione all’istituto per diversi anni, vennero formati matematici e Pestalozzi doveva continuamente sottolineare che al centro della sua pedagogia non stava l’educazione della mente, bensì la formazione morale. Schmid era particolarmente solitario, aveva una volontà di ferro e dimostrava di avere sete di potere. Il suo essere rozzo e la sua mancanza di riguardo lo rendevano poco amato fra gli altri docenti. Aveva un marcato senso di giustizia ed era molto realistico. Metteva sempre tutti in guardia soprattutto contro la superbia e incitava gli insegnanti a svolgere puntualmente e scrupolosamente il loro compito.

Niederer, non meno assetato di potere, aveva una formazione universitaria come teologo e, dopo essere stato giovane parroco, arrivò a Burgdorf al servizio di Pestalozzi. Prese attivamente parte alla filosofia del tempo e ambiva a unire l’insegnamento di educazione di Pestalozzi con la filosofia idealistica del suo tempo. A Yverdon ben presto si fece sentire come oratore, presso i filosofi dell’istituto, e come “capo della propaganda“ della casa. In quanto tale, aprì una tipografia adatta all’istituto e condusse un’accanita guerra letteraria con gli oppositori di Pestalozzi, tanto che non trovava quasi più il tempo per l’insegnamento. Niederer intervenne anche in modo decisivo in diverse opere di Pestalozzi, e collaborando con Pestalozzi ed essendo al suo fianco nelle battaglie si sentiva spiritualmente superiore a tutti gli altri.

Nel 1810 i due arrivarono a una forte discussione che divampò all’assemblea degli insegnanti, durante la quale Schmid lasciò l’istituto con altri quattro docenti. Ma Niederer, che non si preoccupava minimamente di questioni pratiche, si rivelò incapace di dirigere l’istituto in modo ordinato e di tenere in ordine la contabilità. Così si riavvicinò a Schmid, che nel frattempo stava riorganizzando il sistema scolastico in una regione dell’Austria, e nel 1814, quando sposò la direttrice dell’istituto femminile di Pestalozzi, lo invitò addirittura al matrimonio in veste di testimone. Nel 1815 Schmid tornò a Yverdon e approvò una riforma necessaria e molto decisiva: la battaglia letteraria venne messa da parte e la tipografia venne chiusa, venne introdotta una contabilità precisa, quasi la metà dei docenti venne licenziata e il resto costretto a lavorare di più. Con questo intervento decisivo, poco psicologico se non senza scrupoli, Schmid si attirò l’inimicizia di quasi tutti gli insegnanti, e quando poco tempo dopo morì la moglie di Pestalozzi scoppiò la guerra fra gli insegnanti. Lo stesso Pestalozzi arrivò a dubitare che i suoi collaboratori fossero veramente inconciliabili, li incitò a riconciliarsi e a mettersi a disposizione del bene comune, il che fu un completo insuccesso. Nel 1816 16 docenti abbandonarono l’istituto, e a Pentecoste dell’anno successivo il momento drammatico arrivò al culmine, quando Niederer, che tenne la predica in quanto sacerdote nella chiesa del castello, improvvisamente interruppe la predica, si arrabbiò e riempì Pestalozzi di rimproveri e lo abbandonò pubblicamente.

PSW 24A, p. 96
Così stava, così andava in giro, il caro uomo! Un berretto nero di lana, sghembo e polveroso, un mantello pesante e peloso, senza forma né tasche, con due grossi buchi sul dietro; senza sciarpa, solitamente senza gilet, scarpe sempre malconce, calze che scivolavano giù, calzoni senza bretelle, il fazzoletto (quando non l’aveva perso) infilato in petto.
J. Ramsauer

Dopo che Niederer se ne fu andato, tra lui e Pestalozzi cominciò una guerra accanita per i diritti finanziari. Pestalozzi aveva regalato a lui e alla sua consorte il suo istituto per ragazze e riteneva di non aver più nessun debito con lui. Niederer portò Pestalozzi davanti al tribunale e non lo mollò, nemmeno quando Pestalozzi gli pagò tutto quello che secondo lui gli spettava. Pestalozzi continuava a pregare Niederer affinché facessero pace. In una sconvolgente lettera del primo febbraio 1823 (PSB 13, pp. 16-18) implora la riappacificazione con la coppia Niederer, ma quest’ultimo rimase della sua idea e arrivò a una sentenza, che dava effettivamente ragione a Pestalozzi su tutti i punti, ma  anche allora Niederer continuò la sua battaglia e non si calmò finché Schmid fu bandito senza un motivo logico dal Canton Vaud e in seguito anche dal Canton Argovia (dove sorge il Neuhof). Schmid si trasferì a Parigi, dove cercò di mettere in pratica il pensiero di Pestalozzi in un proprio istituto di educazione.

La produzione letteraria dei tempi di Yverdon, nonostante i litigi quasi ininterrotti, è straordinariamente ampio. In questa edizione vengono considerati brani di testi tratti da “Ansichten und Erfahrungen“ (Idee ed esperienze) e “An die Schuld“ (Al peccato). Tra gli altri scritti di quegli anni sono da citare in particolare la terza versione di “Leonardo e Geltrude“, gli scritti “Geist und Herz in der Methode“  (Anima e cuore nel metodo, 1805) e “Über die Idee der Elementarbildung“ (Discorso di Lenzburg). Tra i numerosi discorsi tenuti a Yverdon spicca il discorso di compleanno del 1818 tenuto da Pestalozzi.
In “Geist und Herz in der Methode” (PSW 18, pp. 1-52), Pestalozzi prima di tutto si volge contro un giudizio del suo istituto soltanto in base al successo del suo insegnamento. Le cose più importanti non sono quelle direttamente misurabili: gaiezza, attaccamento infantile e fiducia negli insegnanti, educazione all’ubbidienza e al dominio di sé. Sottolinea che l’educazione non è un trapianto di conoscenze dall’esterno, bensì un’attivazione interna del pensiero e delle forze. In realtà, ritiene che le forze della mente e le forze del cuore per l’essere umano non sono di pari valore, poiché l’educazione intellettuale non è adatta a risvegliare tutte le forze interne che portano l’uomo al sentimento della sua dignità interna e alla riconoscenza dell’essere divino che c’è nella sua natura interna. Secondo Pestalozzi, queste non si dispiegano mediante la forza intellettuale nel pensiero, ma tramite la forza del cuore nell’amore. Nei suoi modi di educazione, che all’inizio chiama semplicemente “metodi“, poi “idee dell’educazione elementare“, Pestalozzi vede il vantaggio che il pensiero e l’amore formano una simbiosi: “Insegna al bambino ad amare in tutto il pensiero e a pensare in tutto l’amore.“ (PSW 18, p. 37).

A Yverdon, Pestalozzi lavorava a più scritti contemporaneamente. Molte cose venivano trascritte e rielaborate dai suoi collaboratori, uniti ad altri scritti, preparati per una stampa parziale o integrale e poi alla fine magari non venivano stampati o venivano stampati solo in parte. Questo è il destino che ebbe, in modo del tutto particolare, lo scritto “Ansichten, Erfahrungen und Mittel zur Beförderung einer der Menschennatur angemessenen Erziehungsweise“ (“Idee, esperienze e mezzi per promuovere un modo di educazione adatto alla natura umana”, più brevemente “Ansichten und Erfahrungen“, “Idee ed esperienze”) del 1806. Al tempo di Pestalozzi, arrivavano alla stampa solo degli estratti. Il testo completo dell’opera si avvale di 20 contributi e nella sua versione pubblicata contiene anche un’opera di Emanuel Dejungs, lo storico editore dell’edizione integrale critica. Come accadeva spesso, Pestalozzi iniziò il testo con un flashback sulla sua vita, mediante il quale mostrava contemporaneamente l’evoluzione della sua carriera pedagogica. Scriveva della nascita e dei principi fondamentali del suo metodo di un’educazione naturale, al centro della quale stava l’educazione morale e religiosa sulla base dell’educazione domestica. Sulla base di queste considerazioni formulava gli obiettivi che dovevano essere fissati per un esperimento di educazione ed elencava i criteri per la sua valutazione. Per lui molto importante era la dimostrazione che i suoi metodi venivano e dovevano venir adattati alle relazioni sociali mutanti. Inoltre si chiedeva come il sistema educativo di un Paese potesse essere rinnovato e che importanza potevano avere in quel contesto una scuola sperimentale e singole personalità (insegnanti e politici).

Nel 1809 venne fondata la “Gesellschaft der Schweizerischen Erziehungsfreunde” (“Società degli Amici dell’Educazione del Popolo“) e Pestalozzi venne nominato primo presidente. In occasione dell’inaugurazione, il 30 agosto 1809, tenne un lungo discorso, il cosiddetto discorso di Lenzburg (Lenzburger Rede) “Sull’idea dell’educazione elementare“ ("Über dei Idee der Elementarbildung", PSW 22, pp. 1-324). Il suo collaboratore Johannes Niederer modificò questo discorso, lo completò con molte riflessioni personali e lo diede alla stampa. Il discorso metaforico e passionale di Pestalozzi viene spesso interrotto da una linguaggio filosofeggiante con un effetto veramente arrogante, che svelava le intenzioni di Niederer di inserire a forza le riflessioni di Pestalozzi basate sull’esperienza nel sistema di pensieri di Schelling.

Dal fallimento dell’istituto per poveri del Neuhof nel 1780, Pestalozzi non aveva mai perso la speranza di poter tornare ad essere il padre dei poveri nella sua proprietà terriera. Resistette a ogni tentativo di uscire dall’indigenza vendendo il suo Neuhof. Nel 1807 un rilancio programmato del suo istituto naufragò a causa del mancato appoggio del governo. Dieci anni più tardi il sogno della sua vita sembrava finalmente pronto a realizzarsi: grazie a un contratto stipulato nel 1817 con la casa editrice Cotta per la pubblicazione dei tutte le sue opere, si prospettavano buoni guadagni. Pestalozzi aveva intenzione di utilizzarli interamente per progetti pedagogici. In occasione del suo discorso in grande stile per il suo settantaduesimo compleanno annunciò la riapertura dell’istituto per poveri presso il Neuhof e promise di utilizzare i 50'000 Fr. attesi per la promozione del suo metodo di insegnamento ed educazione, per la formazione di insegnanti, per l’istituzione di scuole modello e per la rielaborazione continua del “Libro delle madri“ (“Mutterbuch“). Ancora una volta non andò tutto come voleva. Il suo collaboratore Schmid si oppose a un rilancio del Neuhof, e venne quindi aperto un istituto per poveri a Clindy, nelle vicinanze di Yverdon, poi completato con una scuola industriale e un seminario per insegnanti. Questo nuovo istituto venne unificato dopo appena un anno con la sede principale di Yverdon e fallì con quest’ultimo nel 1825. In più, i guadagni non arrivarono nella somma sperata; Pestalozzi ricevette solo nel 1821 i primi 10'000 Fr. Nel 1824, anche per rispetto alla sua famiglia, si vide costretto a dichiarare pubblicamente fallita la sua fondazione e a chiuderla (PSW 27, p. 111).

Il discorso di Pestalozzi in occasione del suo 72esimo compleanno il 12 gennaio 1818 (PSW 25, pp. 261-364) è una delle sue opere più significative. Nella prima versione, il discorso è di 173 pagine ed è particolarmente interessante perché venne scritto senza l’intervento di Niederer. Pestalozzi in questo scritto appare in tutta la sua passionalità antica, in tutta la sua originalità e libertà filosofica. Per chiarire principi e contesti sociali, spirituali e pedagogici sceglie spesso metafore della vita organica. Il paragone più impressionante dell’uomo e dell’educazione con le piante appare all’inizio del discorso, quando Pestalozzi parla della crescita e dello sviluppo dell’albero come metafora dello sviluppo e maturazione dell’uomo:

"L’immagine dell’educazione, l’essere interiore, sacro di un’educazione migliore mi appare davanti agli occhi come un albero che cresce presso un ruscello. Vedi cos’è? Da dove spunta? Da dove arriva con le sue radici, con il suo tronco, con i suoi rami e ramoscelli, con i suoi frutti? Vedi, pianti un piccolo seme nella terra. In esso c’è l’anima dell’albero. In esso c’è l’essere dell’albero. È il seme dell’albero." (PSW 25, p. 256).

Così come l’anima di un albero si concentra fisicamente nel seme e fisicamente si sviluppa secondo natura in radici, stelo, foglia, fiori e frutto, senza che il suo essere interiore si modifichi o perda qualcosa, allo stesso modo è formata l’anima interiore dell’uomo, inizialmente limitato fisicamente in un involucro somigliante a un animale, ma che gradualmente si sviluppa fino a raggiungere l’esistenza umana completa, ovvero un essere dominato da pensieri e amore. Così come un terreno paludoso, troppo fertile o asciutto condizionano lo sviluppo completo dell’albero e invece un buon terreno favorisce la crescita, ma non può far sì che l’albero arrivi ad essere una creatura, allo stesso modo anche l’ambiente che circonda l’uomo con la sua innata “forza di aspirazione“ non può generarlo, ma favorisce o frena soltanto l’espressione delle sue capacità. Pestalozzi riconosce anche in tutta sincerità i limiti di questa immagine. L’organismo umano è sì animalesco, ma non è un animale, “è un involucro spirituale dell’organismo, nel quale riposa e vive un essere divino“. (PSW 25, p. 268). Contrariamente a un albero, esposto al vento, al tempo e anche alle condizioni del terreno, l’uomo è libero. Può decidere se e quanto vuole farsi condizionare dagli influssi ai quali viene sottoposto. Già qualche anno prima, per Pestalozzi l’immagine dell’albero che cresce era il simbolo che descriveva l’influsso spirituale dell’educazione e della predisposizione. Da qui nasce una delle sue poche poesie, forse l’unica di valore letterario:

Jung geschützt,
jung gestützt,
wachst er grad
vom Boden auf
dem Himel an.
Jung gedrückt,
jung gebükt,
wachst er krum
vom Himel ab
zum Boden hin.

Jung gezogen,
alt verbogen,
ist so wahr
als jung gebogen,
wohl gezogen.
Jung verzogen,
alt verkrüppelt,
ist mehr wahr
als jung gebogen,
wohl gezogen.

Jung geschützt,
jung gestützt,
wachst er grad
vom Boden auf
zum Himel an.

Jung gedrükt,
jung gebükt,
wachst er krum
vom Himel ab
zum Boden hin.
Giovane protetto,
giovane sostenuto,
sta crescendo
dalla terra
fino al cielo.
Giovane sotto pressione,
giovane curvo,
cresce curvo
dal cielo
fino alla terra.

Giovane educato,
curvato come un vecchio,
è così vero
come un giovane curvato,
ben educato.
Giovane contorto,
vecchio storpio,
è ancora più vero
come un giovane educato,
cresciuto bene.

Giovane protetto,
giovane sostenuto,
sta crescendo
dalla terra
fino al cielo.

Giovane sotto pressione,
giovane curvo,
cresce curvo
dal cielo
fino alla terra.