La grande guerra animale con le sue cause e conseguenze

No. 202 (PSW 11, p.263-270)

I leoni, che governavano la terra, una volta – a causa della potente volontà di giove – caddero in idiozia e riposero – sottomessi dall’interiore incapacità di regnare – tutta la loro forza del loro malato ed esaltato sentimento regnante all’apparenza della questione della cui esistenza erano stati derubati dai santi Dèi.

In precedenza, quotidianamente un capriolo o un altro animale di giusto peso tributava il proprio stomaco con la tassa naturale del suo genere, secondo la vera necessità del leone.

Adesso, però, tutti i caprioli insieme e tutti i generi animali avrebbero dovuto fornire un servizio agli occhi tanto offensivo quanto umiliante alla loro forza d’immaginazione rovinata.

Gli idioti avevano perso qualsiasi senso della natura. Necessitavano di governare come donne isteriche necessitavano dei nervi di odori rafforzanti. Al pensiero di non poter più governare svenivano. Predisposti interiormente innaturalmente in questo modo, volevano regnare sempre e su tutto facendo credere a tutti gli animali della terra che fossero incapaci di regnare su se stessi e solo tramite il benessere delle smorfie della loro bocca che chiamavano ridere, potessero diventare animali come dovevano. Non trovarono più piaceri a un qualsiasi servizio degli animali, poiché in quanto tale era contro la loro natura.

Le loro tigri dovevano presentarsi lavate col sapone; i loro lupi avevano vestiti di corte di pelliccia d’agnello; i loro orsi portavano museruole e camminavano con un bastone; le loro aquile avevano code di pavone, i loro avvoltoi forzavano il loro collo nodoso a mo’ di cigno; i loro serpenti camminavano sui trampoli; le loro civette avevano teste calve e spesso, per allietarli, dovevano volare a mezzogiorno in pieno sole; i loro tori dovevano rendere cattivi servizi; le loro mucche venivano utilizzate per i cani e i loro asini per le parate, e i cani furono incaricati di molte cose che solitamente sbrigavano i leoni stessi. Anche il sommo elefante veniva provocato contro natura alla sete di sangue; e la creatura pura e nobile che si distacca disprezzante da ogni bestiame a cui è appesa una goccia di sangue, il cavallo, respirava furibonda voglia di guerra alla barra d’avena piena.

Ma mentre derubavano ogni animale delle virtù del proprio genere, questi ottennero tutti l’unica caratteristica che potevano raggiungere tutti insieme: divennero tutti delle scimmie e anziché le virtù perdute della propria natura ottennero l’essenziale caratteristica del loro nuovo genere: sentire gli errori dei loro padroni e con tremante impazienza avere voglia di sopravanzarli.

Così nelle loro anime deperite si instillò il desiderio innaturale: “Vogliamo regnare tutti insieme.” Questo desiderio solitamente non è affatto presente nelle anime degli animali, ma adesso uno solo ne aveva parlato e come un fulmine adesso era presente nelle anime di tutti.

Solo che in alcuni apparve con un sentimento di gatto in un’anima di topo; in altri come un sentimento di cane in pecore accanite. Qui come idea di un serpente in tori indomiti; lì come una voglia di tigri in una mucca che dà luce ai vitelli; e spesso come un desiderio di leone nel misero asino ferito.

L’idea scimmiesca di voler regnare tutti insieme non era quindi né più né meno che una dichiarazione di guerra contro l’opinione della follia. Vogliamo regnare sempre e su tutto come donne isteriche. Allo stesso tempo tutti gli animali erbivori erano improvvisamente in tumulto contro i carnivori.

Poiché però erano tutti diventati scimmie, molti carnivori erano dalla parte degli erbivori e molti erbivori dalla parte dei carnivori. Serpenti e volpi si misero al comando di tutte e due le parti. La guerra fu spaventosa. In ogni dove tutte le foreste e le montagne ne erano piene.

Addirittura nei grassi campi dell’Asia risuonò il richiamo dei vincenti erbivori, e ciò che non era mai stato appagato in quelle zone, accadde in quel momento.

Innumerevoli scimmie riunite sui loro alberi annunciarono a tutti gli animali e allo stesso elefante che gestiva diritto e giustizia nella loro foresta, le nuove urla degli erbivori:” Vogliamo regnare tutti insieme ed entrare in battaglia conto tigri e leoni.” Per un po’ di tempo, l’elefante finse di non sentire; ma poiché sempre più animali nei cieli e sulla terra si riunirono presso gli alberi delle scimmie, queste urla non gli piacquero più. Gettò la sua proboscide verso gli alberi delle scimmie e disse: “Miseri animali! Continuate a mangiare le vostre nocciole e mandorle e ad ogni pericolo cercate la salvezza con le vostre lunghe gambe; ma non azzardatevi a disturbare la quiete della mia foresta.”

Poi si rivolse agli altri animali e disse loro:“ Qui non siete sottomessi ai folli leoni. Io stesso vi proteggo dalle amenità di questi selvaggi cavernicoli; a ognuno di voi onoro nella propria natura il proprio diritto e gli permetto questo diritto di libertà. Cosa volete di più? Volete andare contro volpi e serpenti, contro leoni e tigri? Sapete di cosa si tratta? Io spingo il mio corno nella gola del leone; getto la tigre oltre la mia schiena con la proboscide; sotterro il toro più selvaggio sotto i miei piedi; metto al muro l’orso con il mio ventre finché è magro, ma non son riuscito a salvare il mio unico figlio dalle punture del serpente a sonagli, e non riesco a mettere al sicuro il mio più caro piumaggio dalle vie nascoste delle volpi. Quindi vedete cosa fare! Voglio continuare a esercitare diritto e giustizia nella mia foresta; ma camminare per montagne dietro serpenti e volpi cercando leoni e tigri che non sanno che esistiamo sono voglie di scimmie che non possono entrare nell’animo di un elefante.” Poi aggiunse: “Le scimmie sono maledette dagli Dèi, soffrono di una malattia spaventosa. Non sono mai contente; non sanno cosa sono e non sanno cosa vogliono. E poiché qui vivete sotto di esse, allora, per Giove! Non dovrebbe essere poi così difficile fare di voi stessi animali sì miseri di quanto lo sono nel lato peggiore del mondo, dove le scimmie si conoscono meno e quindi si ha meno paura di assomigliare loro.”

Poi tacque. Ma le urla degli erbivori avevano reso curiosi anche i nasi più delicati dell’Asia. L’elefante lo vide, gettò nuovamente la proboscide all’aria ed esclamò terrificato: “Che cos’è? Regnare tutti insieme? Devo calpestarvi tutti insieme?” Fu questo a decidere. I cani vicini strisciarono, le scimmie tacquero, gli animali asiatici si dileguarono e l’elefante continuò a mangiucchiare il suo loto.

Nel frattempo, gli animali carnivori si riunirono sempre di più e il numero di erbivori che dovette morire divenne ogni giorno più grande e in breve tempo incalcolabile.

Nella grande miseria di questi giorni si elevò quindi una gru e gridò come se fosse sostenuto da una forza celeste: “Su! Su! Animali, verso la pace eterna!” L’aquila però, che ama le carogne, saltò sulla gru uccidendola, e gli animali riuniti a causa di questo irritante clamore di uccelli come la tigre, l’orso, il lupo, con solenne affluenza, serpenti e civette calve dichiararono unitamente pericolose e inopportune le grida della gru e decretarono in modo sovrano ed ecclesiastico: “La guerra è la natura degli animali e noi stiamo bene al servizio dei leoni litiganti.” Inoltre: finché tutti gli erbivori non si fossero arresi, il pensiero di una pace con questi non poteva essere né creato né conservato per gli erbivori, allo stesso modo che una pace con un diritto animale che metta in imbarazzo i leoni: in gioco c’è molto  di più che l’ambiguo sentimento di verità e diritto, instillato con cura nelle anime delle mucche, degli asini e delle pecore, soffocato con tutta l’arte nel modo più curato e paterno possibile e, dove non è possibile altrimenti, frustato e trucidato via con la più grande severità.

L’apostolo degli animali si lasciò portare ad un filo al quale si lasciano legare tutti gli apostoli e arrivò ad attribuire tutte le sfortune di questa guerra animale solo agli erbivori e all’insegnamento della gru, pur essendo l’insegnamento ortodosso dei suoi sacri libri, e lo mise comunque al bando: 1. Perché questo non stilizza l’uccello irriverente nella forma mistica prescritta; 2. Perché ad un tratto fu sentito da troppe pecore, asini e mucche; 3. Soprattutto però perché l’elefante, evidentemente miscredente, e il cavallo, eterodosso, gli hanno testimoniato pubblicamente la loro approvazione.

Da lì in poi tutte le gru furono cacciate dalle aquile e dagli avvoltoi; l’elefante miscredente e il cavallo scettico sono consigliati alle volpi e ai serpenti per fedele scalpore; contro gli asini ottusi viene utilizzata l’acutezza della verga; le curiose ma timorose scimmie vengono minacciate con essa, e i preti degli animali istruiscono i figli delle mucche e delle pecore, anche i poveri conigli e gli innocenti cervi, con una fatica senza eguali, che la guerra è la loro natura, il servizio dei leoni, così com’è, il loro dovere incondizionato, e l’insegnamento della gru, così come è inteso dalle mucche, dagli asini e dalle pecore, altissimamente condannabile, così come l’irriverente parlare della follia dei leoni, è un peccato degno di morte. Tutte le civette furono incaricate con impellenza di parlare dei peccati e degli scandali dei leoni sempre con grande cautela e con doveroso rispetto e soprattutto la follia erronea che tutto ciò avesse molta influenza sul destino e la fortuna degli altri animali, con tutto l’ardore e tutta la cura per contrapporsi, fare tutto il possibile per instillare nei tori, nelle mucche e negli asini la convinzione tranquillizzante che in ogni caso sono loro stessi gli unici responsabili della loro rovina.


Voglio aggiungere nuovamente qualcosa a questa rubrica, indipendentemente da tutto ciò che ho già detto in diversi numeri di questo libro: è già stata stampata più di 20 anni fa nella mia patria, con la concessione della sua censura. Il suo obiettivo evidentemente è limitato alla mia patria e vuole avvertire tutte le partecipazioni ai movimenti del popolo di quel preciso momento. Il successo del grande incontro del mondo corrispondeva in modo particolarmente vistoso alle mie opinioni. In quell’istante dovetti infatti limitarmi a trattare l’oggetto che toccava il mio cuore solo metaforicamente, ben sapendo che ogni oggetto trattato solamente metaforicamente porta con sé l’impronta della limitatezza, e temendo che ciò che ho detto in quel momento e con quei limiti della mia patria possa essere stato malinteso e interpretato come allusioni a fatti che non mi appartengono, credo quindi allo stesso modo che, nonostante non sia necessario, sia utile esprimermi con una certa decisione a riguardo delle mie prime opinioni, vere e intime sull’oggetto che è alla base dell’illustrazione metaforica. Il diritto umano, cioè il dovere del riconoscimento del sovrappeso delle pretese divine, superiori e sante della natura umana intima sulle basse pretese dell’egoismo del nostro deterioramento sensuale e animale, è indubbiamente un diritto santo e divino, e il suo riconoscimento con timore riverenziale nelle organizzazioni umane dello stato sociale e soprattutto nella comunità da organizzare in modo cristiano di questo stato, è, senza ogni contraddizione, il dovere di tutti gli individui in ogni ceto. Dalla natura di questo diritto stesso deriva che se anche fosse ferito in modo grave da un dato potere autorizzato legalmente dallo Stato con violenza fisica, la contrapposizione con un'altra violenza fisica non possa essere vista come un mezzo legittimo contro l’ingiustizia della violenza regnante. Questa contrapposizione in ogni caso porta al deterioramento inevitabile dell’essenza intima e sacra di tutte le vere benedizioni dello stato sociale nelle sue fondamenta eterne e immutabili. No, il diritto umano non può essere cercato in modo animalesco, non può essere conservato in modo animalesco, non può essere medicato in modo animalesco, deve essere cercato in tutte le condizioni in modo umano ed essere conservato in modo umano e, se anche è ferito, deve essere ricreato con i mezzi della saggezza e dell’amore che derivano da un cuore puro.

Se il potere legale, indotto dall‘erroneità umana, rende ingiustizia a sé stesso e al popolo, allora la benedizione così messa in pericolo e ferita dello stato sociale può essere ricreata solamente con mezzi che sono adatti a ravvivare e a rafforzare l’essenza intima e pura della benedizione sociale, entrambe: nei cuori del popolo che soffre ingiustamente e in quelli dei potenti che errano, con forza interiore e divina. In questo modo si possono ricreare le fondamenta pure ed eterne di uno stato di giustizia veramente sociale, per quanto possa essere stato ferito dall’errore e dalle debolezze del potere, con rinnovato ravvivamento di queste fondamenta arrivando ad uno stato delle cose nel quale i malesseri del presente in ogni caso siano mitigati e possano aprire la scia per uno stato migliore e benedetto con tutta la cura possibile. Nella massa fisica del popolo e ancora meno in un movimento illegale di questa massa non v’è aiuto contro la sofferenza ingiusta di essa e né con un mezzo divino né con uno umano per il conseguimento delle benedizioni pure dello stato sociale e ancora meno per la ricreazione di questo, se fosse minacciato fortemente; ma nella forza individuale di persone nobilitate, sagge e pie di tutti i ceti v’è una forza onnipotente benedetta da Dio e motivata legalmente e umanamente contro l’ingiustizia dei governatori umani e delle autorità governanti. Non dico più nulla; non è questo il luogo in cui esporre queste opinioni; ma pur essendo ancora oggi nemico e spregiatore della guerra del popolo animale, cerco, così come allora, quando scrissi questa rubrica di questa guerra animale nella mia patria e per essa, nient’altro che lo sviluppo delle forze di benedizione morali, spirituali e fisiche del popolo in tutti i ceti come fondamento essenziale di tutta la benedizione vera e reale della nazione, e di rendere visibili tutte le vere e sacre forze nazionali benedette da Dio e portare, sulla scia dell’umanità veramente legale dell’alto cristianesimo, ogni germoglio di tendenza egoista per l’abuso del potere e la soppressione dei deboli nel paese che possa giacere nelle umanità del potere, così come ogni germoglio dell’irriverenza e di violenza che possa derivare dall’inselvatichimento della massa abbandonata, nella crescita del deterioramento reciproco con il puro ravvivamento delle forze, le tendenze e le opinioni, superiori, sacre e contrapposte a questo deterioramento fino a spegnerle e farle soffocare in se stesse. E mentre esprimo con devozione le parole sacre della libertà e del diritto alle persone buone e nobili per tutta la mia vita e fino alla mia morte in modo devoto, riconosco le fondamenta di ogni vero diritto del popolo e di tutte le vere libertà del popolo solo mettendo al sicuro tutte le forze morali, spirituali e domestiche, mettendo al sicuro in modo civile tutti i mezzi d’istruzione, la cui nobile e soddisfacente formazione di ogni individuo in ogni ceto è necessaria per riposare in pace sotto la sua vita e il suo fico, per quanto possa essere possibile umanamente, cioè in autonomia morale, spirituale e domestica, procurandosi il proprio benessere temporale ed eterno sul grembo della propria famiglia, senza essere fermato, distratto e infastidito da qualsiasi forza cattiva; e sono al contempo pienamente convinto che tutto ciò possa essere conseguito solo tramite un progresso grande e solido del sistema educativo dei nostri tempi.